mercoledì 26 marzo 2008

Batte Morte



Batte/batte
solo la pioggia
Batte
solo la pioggia continua che
Batte/batte/batte
non senti la pioggia che
Batte/batte
Batte/botte
Batte/morte
su rotte grondaie
Bat-bat/ su rotte...
....morte.

giovedì 20 marzo 2008

CALEIDOSCOPIO 06- Ricordi ( Incontri speculari )

Sì, ne sono certo, quel ragazzo l’ha chiamato Gabriele non c’è dubbio... Gabriele, questo nome mi ossessiona da quando... ... perché quell’uomo poi ha scelto proprio quel nome per la sua morte?
No, in realtà non m’importa affatto, solo ora quel nome rimarrà scolpito nella viva carne della mia coscienza a perenne memoria di ciò che ho fatto.
Chissà se anche quel ragazzo davanti a me è stato un Gabriele come lo sono stato io, anche se solo per un istante... può darsi, anche lui aggrappato al suo compagno quasi fosse la sua ancora, come io lo sono alla mia, anche se quest’ancora mi ha fatto annegare impedendomi di nuotare...
Ecco ha staccato gli occhi dal ragazzo, si guarda attorno, sembra stupito di trovarsi sull’autobus.
Mi fissa. Pare stia tremando, forse la mia vista gli ricorda troppo se stesso. Torna frettolosamente con lo sguardo al suo ragazzo. Giro impercettibilmente il viso alla mia sinistra.
La osservo di sfuggita... la mia donna... la mia odiamata Eva; eppure ancora adesso provo piacere nel sentire il calore del suo corpo, proprio come quella mattina...




...Torpore di lenzuola... tepore di corpo avvinghiato (il suo), stretta morsa di tenera carne, più ferrea della volontà (la mia; la mia volontà).
Impossibile muoversi, faccia di lei infuriata che parla. Non la sento, vedo solo le sue labbra ondeggiarmi davanti: corposità di languide forme.- grugnito -.Devo pisciare. Aspetterò che si svegli. Non mi piace aspettare.- sorriso -. Le soffio piano nell’orecchio. Che buffa arriccia il naso...
...Risveglio e colazione: i soliti.
Pare che una mosca l’abbia infastidita stamattina, continuava a posarsi sul suo orecchio.
È ora di montare una zanzariera. Concordo con lei sorridendo.
Si avvicina sorniona. Certo che con i soldi di quel lavoretto di oggi..., miagola . Perché , perché rovinare questo momento! Sciocca gattina! Occhi intelligenti, capisce subito e rimedia. Suggerisce un’immagine: lei vestita solo di un velo di zanzariera avvolto. Il broncio si frantuma. Mi scoppia un sorriso in faccia. Ahi, temo che l’avrà vinta lei. Parla di altro. La prende alla larga la preda! La gattina s’è fatta le unghie ed è diventata leonessa. Leonessa a caccia, segue l’antilope da lontano, aspetta che sia sola, indifesa, ignara e zac l’agguanta.
Ecco, mi ritrovo già abbracciato a lei mentre sbrana la mia volontà con baci voraci. Non ha ancora vinto. Manca il colpo di grazia, colpo decisivo.
“Hai presente la tua foto che è sull’armadio?” certo che la ricordo, ma è meglio guadagnare tempo.
“Quale?” “Ma si, quella di quando avevi 5 anni, il mio tesoruccio col suo bel vestitino e il viso imbronciato...” lo credo bene: mi avevano obbligato ad andare a messa, io non volevo; ho già capito dove vuole andare a parare. - annuisco - “...Eri adorabile già da allora mio piccolo ribelle. E ti ricorderai anche la storia che mi avevi raccontato...”
Già, sul perché non volevo andare in chiesa, lo ricordo ancora. Buffa storia di una deduzione logica (almeno così mi pareva allora) di un bambino di 5 anni.
Sera. Telegiornale. Parlano del Papa. Bisognava fare tutto quello che diceva il Papa. Così avevo sentito dire dalla nonna tra uno schianto di macchinine e l’altro - 50 morti e 300 feriti - ( non che per me avessero molto senso quelle cifre e quelle parole, ma al telegiornale dicevano sempre qualcosa del genere per un incidente, o almeno così mi sembrava ).
Alzo la testa e chiedo perché. “Perché cosa tesorino di nonna?” mi domanda in risposta una faccia che allora non era poi così rugosa, ma che non riesco a non immaginarmi cadente, quasi sciolta. Una faccia di formaggio fuso; sì, anche nell’odore.
“Perché si deve fare come dice il Papa?”. - Sorriso morbido -. “Ma perché lui è come se fosse il papà di tutti”.(Ecco perché si chiama Papa!!!). Sconvolto lascio il luogo dell’incidente, tanto si fermerà qualcuno a chiamare l’ambulanza.
Faccia che sorride, tette morbide: la mamma.
E il papà? ....Adesso sono due... troppo complicato, meglio chiedere alla mamma. Sottana svolazzante. Mi appendo e tiro. Sta salutando la nonna. “Saluta anche tu la nonna, dalle un bacio. Bravo.”- Nonna esce -. “Cosa volevi amorino?” “Mamma, quanti figli ha il Papa?”
- Ride - “ Nessuno; il Papa è il servo di Dio, non può avere figli; come per le suore... ti ricordi, te l’avevo spiegato quando avevi visto quella suora col pancione e mi avevi chiesto se aspettava un bambino...” L’avevo detto io che la nonna si sbagliava. Ma ora avevo un nuovo prurito. “Perché il Papa è il servo di Dio? Perché Dio vuole dei servi?” “No, non servi nel senso di schiavi, ma come figli di Dio.” Anche Dio ha dei figli allora... “Chi sono i figli di Dio ?” “Lo siamo tutti, anche i bambini che fanno le marachelle come te” “Anche le suore?” “Si, tutti; perché adesso non torni a giocare con le macchinine?” Faccio cenno di sì col capo e fingo di giocare. Ma se le suore sono le spose di Cristo ( me l’ha detto la mamma ), che poi è Dio, mi pare di capire, come possono essere sue figlie? Poi io so che quando ci si sposa arriva una cicogna che lascia un bambino nel pancione della moglie; quindi se le suore sono le spose di Dio devono avere dei figli... ma mi hanno detto che non li hanno...
...È stato in quel momento che ho deciso che era più semplice che Dio non esistesse: troppe incoerenze, troppe costrizioni, troppe complicazioni a credere nella sua esistenza e poi in fin dei conti io non l’avevo mica mai visto.
...Così non volevo andare a messa.
“...Ricordi, dicesti convinto che Dio non esisteva; t’arrivò un ceffone e tu ti ripromettesti di non farti più influenzare dalla “legge morale divina”; non c’è nessun Dio a cui rendere conto delle nostre azioni.” Sorrido, anche se vorrei piangere, mi ha condotto dove voleva ora è solo questione di tempo... “Può anche darsi, ma alla coscienza si deve sempre rendere conto.” “La coscienza è solo un altro specchietto per le allodole, ma ammettiamo anche di no, perché dovresti avere rimorsi per questo lavoro? L’hai sentito anche tu cosa ha detto quel signore di quell’altro uomo: è una persona abbietta, faresti un favore all’umanità, e poi tesoro mio saresti come un eroe dell’antichità che libera il mondo dal male, il mio eroe tutto per me”
Brava suonatrice di anime, non c’è che dire, conosce tutti gli spartiti ( quantomeno della mia )
“ Si, col rischio di fare la fine di Bruto che per liberare Roma dalla tirannia è passato ai posteri con una nomea a dir poco vergognosa e poi, sai, non si sta molto comodi ad essere masticati per l'eternità dalle fauci di Lucifero, in compagnia di Giuda e ......” "Stronzate!"- La micetta soffia ed interrompe il mio dantesco sfoggio d’erudizione - “Non ti è mai importato cosa pensano i più, e non hai mai creduto a queste cazzate oltremondane, non far finta di cominciare ad interessartene ora!” “Ok, ma che valore può avere il giudizio di una persona che ne vuole un’altra morta, come posso anche solo pensare di credergli?” “Ha lo stesso valore della parola di chi prende anche solo in considerazione la sua proposta; no, no, non obiettare, non dire che non ci stai pensando, quei soldi ci servono, ci servono dannazione!”
Graffi di micetta sul cuore... ... in parte ha ragione.

martedì 11 marzo 2008

CALEIDOSCOPIO 05- In-Certezze schizofreniche



Gabriele sorrise. Gabriele sorrise di gusto. Era la prima volta che sorrideva e non sapeva perché, non sapeva nulla, non avrebbe saputo neanche definire che cosa fosse un sorriso se glie l’avessero chiesto, semplicemente avrebbe continuato a sorridere.
Gabriele sorrise. Gabriele sorrise per la seconda volta. Sorrise a se stesso, sorrise alla sua Ombra che gli rispose seria con un cenno del capo, quindi sorrise all’idea di se stesso, ma non la sua; quell’idea di Gabriele che ha il suo autore, quell’idea di Gabriele che Michele odia, e l’idea lo salutò con un occhiolino ed una nota di luce.
Gabriele sorrise una terza volta. Gabriele sorrise a Michele e l’autore decise allora di odiare ancora di più l’idea che del suo personaggio aveva.
Michele rispose a Gabriele appoggiando con decisione la penna al tavolo e lasciando il personaggio congelato sul suo terzo sorriso.
Michele, con lo sguardo rivolto verso il basso, con lo sguardo rivolto alla scrivania sotto di lui, con lo sguardo rivolto ai fogli sulla scrivania sotto di lui, uno sguardo in tralice al personaggio che emerge dalle parole scritte nei fogli sulla scrivania sotto di lui... ...Michele pensava.
Pensava a Gabriele, o almeno credeva, in realtà pensava all’idea di Gabriele che aveva, l’idea che un autore ha del suo personaggio, non è mai il personaggio, e se pure gli somiglia non è mai del tutto identica a lui, perché, beh, lasciate che ve lo dica, i personaggi sanno sempre sorprendere i propri autori.
Sappiate che nel momento stesso in cui un personaggio prende vita già si discosta da ciò che era prima (l’idea di se stesso nella mente dell’autore), l’esistenza porta in lui un mutamento, un mutamento continuo che lo accompagnerà d’ istante in istante portandolo distante dal percorso tracciato per lui.
Ma questi sono solo pensieri.
Frammenti di pensieri scheggiati.
Cristalli di pensieri interrotti da un suono fastidioso, ripetitivo, quasi petulante.
Michele è infastidito.
- Un primo squillo lo saluta -
...Il telefono, dimostrazione tangibile che esiste un mondo.
Avrebbe quasi voglia di romperlo lanciandolo contro il muro, nella speranza che l’eliminazione della prova dell’esistenza del mondo elimini anche il mondo stesso.
- Un secondo squillo risuona timoroso - (povero piccolo telefonuccio impaurito)
Inutile farlo, esistono molte altre prove e se dovesse eliminarle tutte dovrebbe distruggere tutto ciò che É nel mondo e che lo costituisce....
...in fondo anche se stesso.
- Terzo squillo con nota d’apprensione mista a rimprovero -
Era lui. Si, Michele ne era certo, non poteva che essere lui, solo quella persona faceva squillare il telefono a quel modo, con tutti gli altri (o almeno con quelli che lo chiamavano) il telefono mandava squilli formali, indifferenti.
- Quarto squillo: un animale ferito a morte che ulula aiuto -
Un pensiero fulmineo: mai fidarsi del lupo, anche se ferito.
Avrebbe voluto farlo aspettare ancora un po’, almeno un altro squillo o due, ma era già al quarto e dopo il quinto lui riattaccava.
- Sospiro -
Alza la cornetta ponendo d’improvviso fine, come con un secco colpo di pistola, alla sofferenza del lupo. D’istinto lo sguardo corre al calendario appeso alla parete di fronte.
Dei fogli che si pretende rappresentino il tempo. Alcune date sottolineate. Un giorno cerchiato: oggi. Un giorno cerchiato a matita, col tratto leggero, quasi invisibile, quasi da potersi autoconvincere di non aver visto la data.
Eppure da quella sospetta invisibilità quel giorno balzava subito agli occhi in mezzo a tutte le altre segnature, sottolineature... rifulgeva della sua immacolatezza appena sfregiata dall’impalpabile cicatrice, quella del tratto a matita.
“ Ciao Michele” “Ciao pa’, stavo per chiamarti per dirti che non posso venire.” “Ah, mi spiace, non sei ancora malato vero?” “No, no pa’ sto bene, è solo una questione di lavoro, sai come sono fatto... se non è tutto a posto...” “Già, ti conosco...”
La conoscenza. Una parola da rigirare nella mente così come un sasso levigato tra le mani...
Lo sguardo cade sui fogli sulla scrivania.


L’Ombra di Gabriele si fa seria e guardando l’Idea di Gabriele comincia a parlare.
Ombra: La conoscenza.
Idea: Il fatto di sapere qualcosa
Ombra: Sapere.
Idea: È il non ignorare.
Ombra: Ignorare
Idea: È ciò che non è conoscenza
Ombra: In ultima analisi non posso definire la conoscenza se non attraverso se stessa... non posso dire di conoscere neppure le parole che pronuncio!


“Però promettimi che la settimana prossima verrai a trovarmi, è già la terza volta che non vieni.” “Si, verrò, puoi starne certo.”


Ombra: Tu dai troppe cose per scontato, tu ti crei un mondo fondandolo su certezze che si costituiscono come tali solo perché convenzionali!
Idea: Può anche darsi, ma tu, a rigore, non puoi che dubitare della tua stessa incertezza, a meno che tu non creda che il tuo stesso dubbio sia certezza, ma se così fosse non dovrebbe avere anch’esso un valore puramente convenzionale? Ad ogni modo, non riuscire ad esprimere un termine non significa non riuscire a comprenderlo.


“Ehi Michele, mi stai ascoltando?” “Eh pa’? Scusa ero sovrappensiero, hai detto qualcosa?”
“No, nulla, non importa”


Ombra: Ma chi ti dice che lo stesso termine, lo stesso “qualcosa”, non sia “compreso” in modo diverso a seconda di ogni soggetto che lo comprende?
Idea: È inevitabile, credo, perciò la comunicazione assume sempre un certo grado d’incertezza, ma è un’incertezza relativa, è una diversità di significati che è direttamente proporzionale alla diversità di ogni essere umano, ed è proprio questa pluralità di significati che mostra la ricchezza del linguaggio.
Ma quello stesso qualcosa può anche essere inteso allo stesso modo da diverse persone, non per il loro essere diverse, ma per il loro essere uguali; tra persone diverse vi è sempre comunque qualcosa di uguale, quantomeno nell’esistenza... quantomeno nell’essere umani.

Detto questo l’Ombra e l’Idea guardarono in direzione di Gabriele che sorrise loro.


“Beh Michele, ti saluto, così ti lascio al tuo lavoro.” “Ciao pa’, alla settimana prossima.”
“Già, ...già.”
La cornetta ricade sul ricevitore.... colpo di ghigliottina.... degna conclusione della nobile comunicazione... quella vuota, quella esteriore, che tiranneggia e troneggia tronfia, sprezzante come un monarca assoluto, in ogni modo d’essere..
Neanche una lacrima per la perdita? No, d’altro canto sono sempre stato dalla parte dei giacobini. Vive la France! Vive la Libertè! Vive monsieur Guillotin!
Anche se in effetti la ghigliottina non l’avrei accettata neppure in senso metaforico... troppo netta, troppo certa delle sue decisioni che, d’altronde, sono irrevocabili, con essa non c’è spazio per il dubbio; professatrice di un’unica verità: la sua; non enunciata, ma imposta... ecco come anche gli oppressi sanno farsi oppressori.
È facile presunzione pretendere d’imporre la verità!
Certo! Certezza. Ineluttabile modalità del credibile... essendo certi non si può che credere... e per quanto non si sia certi di poter sempre credere (credere a tutto), credere di essere certi è già certezza.
...Forse; forse è così... ma che senso avrebbe una certezza costituita in modo tale da essere mera espressione del possibile? (Ammesso che il “credibile” sia “solo” l’infinita gamma delle possibilità!) Probabilmente sbaglio, in fin dei conti non ne sono per nulla certo....

sabato 8 marzo 2008

Gli auguri degli ipocriti



Auguri mio piccolo tesoruccio bizzarro!
Auguri di cento cose buone e di mille cattive
Auguri di sonno, sasso, sesso, sporco,
spento, riverso, protervo
e bla, bla, bla ....
di altre cento parole che per tutto conservo.
Auguri di cuore,
un po' di polmone,
di colecisti, che tanto non serve,
Auguri di milza e cistifellea
oppure di fegato e rognoni col soffritto di cipolla e vino bianco
te l'ho preparato per cena.
Prendi pure le mie mimose imbalsamate
da riciclare ogni anno,
(mai troppo vecchie, mai state nuove)
prendile per crisantemi se ti va
ma da domani bricconcella
torni a casa a far la lana.

venerdì 7 marzo 2008

CALEIDOSCOPIO 04- L'annunciazione di Gabriele ( incontri mobili e intermezzo deambulante )




“Mi spiace Gabriele, ho tentato in ogni modo di far partire la macchina, temo che dovremo prendere l’autobus.”
“Non ti preoccupare Luca, non importa, mi basta la tua presenza... io non so se ce la farei a dirlo al nonno da solo.”
Lieve pressione di polpastrelli sul dorso della mano e la carezza del suo sguardo.
Posso leggere nei suoi occhi il silenzio appena percettibile della comprensione; muta, perché inesprimibile profondità di emozioni....
Emergo dal suo volto. Il mondo attorno a me è cambiato senza che me ne accorgessi.
Ora siamo sull’autobus: brusio di fondo; l’insoddisfatto borbottio del motore... gente seduta di fronte a me.
Una coppia, avranno la nostra età, ... ma quel ragazzo... mi ricorda me stesso, ha l’aria così disperata... è snervante, è come guardarsi allo specchio e vedere in lui proprio ciò che vuoi nascondere a te stesso, mi ossessiona, sembra puntare l’indice per sottolineare la mia sofferenza.
No, meglio rituffarsi in Luca, almeno finché non arriveremo dal nonno.


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Scale salite con estrema lentezza.
Ho appositamente evitato l’ascensore.
Il rumore dei passi di Luca dietro di me mi impedisce di fuggire ancora da me stesso.
Mi vergogno a scoprire di essere per questo un po’ stizzito con lui.
Ecco la porta.
D*** A*** sul campanello.
“Ciao nonno.” “Ah Gabriele! Che bella sorpresa mi fai a venirmi a trovare!”
Gabriele sorrise di un sorriso amaro.

domenica 2 marzo 2008

CALEIDOSCOPIO 03- Lady Macbeth




Nella mente le parole di quella lettera che gli era arrivata in mattinata e un’immagine, quella di suo padre morto accasciato sulla scrivania.

Gabriele correva.

Fuga. Fuggire.

L’aria che esce incandescente dai polmoni e si condensa in piccole nubi attorno a me . Mi attanaglia un gelo.... un gelo che brucia. Dannato Cocito! È il tormento di Caina!
Le nubi si perdono nell’aria rapidamente e, con la velocità del mio moto, tutt’altro che perpetuo, tutt’altro che uniforme, le ritrovo alle mie spalle. Le immagino sfatte da un soffio di vento.
La traccia del nostro passaggio. La traccia dell’esistenza umana...piccole nubi di vapor acqueo condensato che si sfaldano sciogliendosi nell’aria sostituite in meno di un istante da altre piccole nubi che seguiranno invariabilmente il destino di quelle che le hanno precedute. Quest'aria sporca è satura dei respiri di mille generazioni. Mi sale un conato di vomito mentre penso che per vivere respiro i cadaveri del passato.

Fuga. Fuggire.

Ma per quanto corra arriverò mai abbastanza lontano da scappare da me stesso?
Corro col volto bagnato.
Il volto rigato... no, non dalle lacrime, ma da gocce di pioggia...pietose...quasi volessero mascherare l’angoscia che provo nello scoprire i miei occhi asciutti... freddi.
Che mostro... che mostro sarei stato se anche rimanendo lì a contemplare il cadavere non fossi riuscito a stillare neppure una lacrima...forse se sono fuggito non è stato per l’orrore, ma per il timore di scoprire che quell’orrore mi lasciava indifferente.
Ancora lo scrosciare della pioggia mi rimbomba nelle orecchie, lungo ininterrotto lamento, lenta agonia di seccaspri sussurri, ritmicamente monotoni, come i miei passi, tanti passi, quanti? ...1, 2,10, 100, 547 ...qualunque numero, per ogni x tale che x appartiene all’insieme dei numeri reali, passi-numeri positivi... e quelli negativi? Sono passi indietro? Beh, io non li faccio credo...non importa solo ora conta, conta per non cadere, linguaggio matematico... la realtà dipende dal sistema con cui la codifichi, un linguaggio impersonale renderà impersonale anche la realtà così posso continuare a pensare, a pensare senza cadere...cadere...no, ci stai ricascando! Pensa ad altro! Ad altro! La sirena di un'ambulanza, mi aggrappo al suo suono, propagazione delle onde sonore, suono più fievole, l’ambulanza si allontana, effetto doppler, curiosa correlazione tra sirene di ambulanze e moto relativo di galassie, già - sorriso abbozzato e subito spento - ma quell’ambulanza... agonia di persone, agonia di stanche stelle...
Dannazione ricominci! Chiudi gli occhi, non pensare, corri, corri a casa.
Casa, casa, eccola spuntare dietro l’angolo, la tana in cui nascondersi, la sabbia in cui infilare la testa ( beati gli struzzi ). Dopo un tempo impensabile l’ho raggiunta, impensabile perché ho spento la mente. Non si può spegnerla? No, è vero, non si può, però la si può ubriacare, ubriacare la mente con le emozioni. Così frastornata la mente non pensa e il dolore che la sovrasta, che l’annega, è come un urlo che per la sua stessa intensità ci rende sordi almeno per un po’.( Che sia questo il motivo della mia apparente freddezza? ). Ci siamo. Tirare fuori le chiavi. Ho le mani umide. Aprire la porta. Togliersi le scarpe perché sono sporche. Ho le mani bagnate. Levarsi il giaccone. Le mani sono intrise. È buio. Accendere la luce. Le mani sgocciolano nell’oscurità. Le mani! Perché sento le mani sporche di sangue? Perché le mie mani sono sporche di sangue innocente? Perché le mie mani sono sporche del sangue della mia innocenza? Non si lava, non si può lavare l’assassinio di una parte di sé. La coscienza, la coscienza è il boia di se stessi, di quella parte di noi che si crede innocente, che si convince di essere nel giusto!

Dannato bastardo! ma perché cazzo l'ha fatto!?!
Forse avrei dovuto cercare di capirlo....
Merda! Avrei dovuto ascoltarlo anche quando non voleva parlare!
Mio padre, la mia coscienza, insomma entrambi.
Avrei dovuto... o forse avrei almeno potuto tentare....