giovedì 28 febbraio 2008

CALEIDOSCOPIO 02- La lettera del morto




“Caro Gabriele.
È la volontà, la volontà di comunicare che mi ha spinto a prendere nuovamente in mano la penna per scriverti. Ho indugiato parecchio presso il telefono; ma ho deciso che preferivo le sbavature d’inchiostro di una lettera.... già, macchie d’inchiostro come scenografie su cui le parole girano, danzano, fanno un inchino ed escono di scena per lasciare posto ad altre parole-attrici; attrici sì, perché destinatarie di un significato che va oltre ciò che esprimono palesemente; è uno stato d’animo, è l’intero mio essere che le parole devono interpretare.
Più fluido in questo modo che non con la secc-elettrica ronzante asprezza che esse assumono al telefono non trovi? Oltretutto ci sono cose che attraverso un telefono non si possono spiegare o capire; come la volontà di comunicare silenzio, il quieto e mesto silenzio, quella strana, armonica intimità di pensieri che sfrecciano come gli archetti sui violini o scivolano pigramente come l’acqua di un ruscello montano; un silenzio pieno, appagante, ma che, per qualche strano motivo, nel momento stesso in cui mi trovo a viverlo, mi spaventa.
E poi che telefonata sarebbe? Una telefonata muta, senza l’espressione del volto, senza i lampi negli occhi più eloquenti di mille parole. Anche la lettera in fondo è solo un mezzo di ripiego.
La verità è che vorrei parlarti faccia a faccia, ma la tua voce mi spaventa, mi sembra sempre di sentire nella tua il peso di tutte le voci del mondo, voci non pronunciate, sussurrate nella mente, voci che forse altri non percepiscono, ma io sì, e ti posso assicurare che con il silenzio quei bisbigli diventano assordanti.




Ti chiederai perché scrivo proprio a te...
... perché tu sei il mio più grande fallimento.
Quando sei nato ho sperato tanto che saresti diventato un pessimo figlio, allora tanto maggiore sarebbe stata la tua imperfezione, tanto più ti avrei amato...ma tu sei sempre stato perfetto, perciò avrei voluto odiarti, ma non sono riuscito a fare neppure questo.
Ti sei mai domandato perché ti ho chiamato Gabriele? Vedi quando nacqui i tuoi nonni erano stati a lungo incerti se chiamarmi Michele o Gabriele. Scelsero il primo nome, ed era come se scegliendo quello, avessero scelto tutto di me, già da bambino ero convinto di essere me stesso in virtù del nome che mi era stato assegnato...Gabriele invece era tutto ciò che io non ero e che sarei potuto essere. Gabriele era la mia ombra, l'incarnazione della mia inquietudine, il modello immaginario che mi lasciava annegare in un mare di bile e frustrazione...ogni volta che venivo rimproverato per qualcosa immaginavo che Gabriele non lo sarebbe stato perché Gabriele si sarebbe comportato meglio di me; ogni volta che perdevo una gara, una sfida, non perdevo solo con me stesso, perdevo contro di lui; ogni volta che ero infelice vedevo Gabriele sorridere.
Era perfetto, era ciò che sarei voluto essere, ed io odiavo la sua perfezione, perciò ti ho chiamato Gabriele: nella vana speranza che tu incrinassi quella perfezione.
Quante volte mi sono chiesto se era possibile, se era possibile dico, che non potessi che odiarlo.
Poi ho capito. Ho capito che odiando Gabriele (cioè la sua idea, la mia idea di lui), odiando l’idea di Gabriele, l’idea di Gabriele che da me è stata creata, io odio anche me stesso.
Quella parte di me che ha creato l’idea di Gabriele, pur per poterla odiare, è essa stessa odiata da me. Io odio il Gabriele che è in me, e lo odio perché non c’è, perché manca, perché in realtà non esiste....non esiste in me.
Perciò ho voluto farmi uccidere da Gabriele; odiando me stesso per non essere lui, ho portato Gabriele ad odiarmi perché lui non esisteva in me, infatti, non esistendo in me, non esisteva affatto se non come paragone, come immagine mentale; era il ritratto di Dorian Gray capovolto.
Ma ora ho vinto IO, IO, IO!!!!Gabriele s’è macchiato! Le piume delle sue ali sono nere, sporcate di pece e pesanti, pesanti, come quelle di un gabbiano invischiato di petrolio, la marea nera che lo circonda lo afferra con le carezze mortali di una coltre di disperazione.... ... lo vedo; con le mani tinte di sangue, chino, disperato, cerca di raccogliere i cocci spezzati della sua aureola in frantumi.
Sono felice.
Così finirà la mia storia.”

venerdì 22 febbraio 2008

CALEIDOSCOPIO 01- Sorrisi esistenziali




Gabriele sorrise. Gabriele sorrise di gusto. Sorrise per la prima volta nella sua vita, anche se, a rigore, già col suo primo sorriso aveva in sé la consapevole certezza dell’esistenza di altri sorrisi, forse mai effettivamente realizzati, mai compiuti, ma quantomeno ricordati, se non altro perché Gabriele era costituito così, e proprio in quanto se stesso, proprio perché Gabriele, avrebbe benissimo potuto sorridere prima, e questo gli bastava per dare coerenza a quei ricordi dei sorrisi che avrebbe potuto fare.... se fosse esistito prima di adesso, prima di questa sua prima azione, prima di questo sorriso.....
....Dovrebbe apparire piuttosto confusa la faccenda agli occhi di Gabriele.
La faccenda del sorriso intendo; beh, anche quella dell’esistere credo, ma in fondo potrebbero essere la stessa cosa.
Il sorriso e l’esistere.
Quantomeno per Gabriele che non ha ancora avuto esperienza di sorrisi sconnessi dall’esistenza, o di esistenza separata dai sorrisi.
Per questo, credo, Gabriele decise che avrebbe sempre sorriso, almeno finché esisteva.
Per questo credo che l’autore che ha dato vita a Gabriele lo abbia subito odiato.
Per il suo esistere, per il suo sorriso, se non per entrambi. Anzi, penso che gli abbia dato vita (dato vita in questo modo) proprio per poterlo odiare liberamente.
Non so, in fin dei conti io conosco ben poco Gabriele, non è lui il mio personaggio; il mio personaggio è il suo autore, gli ho dato un nome, uno a caso perché io non lo odio, l’ho chiamato Michele; a dire il vero ho lasciato quasi che si creasse da sé, l’ho reso un autore anche se non ho ancora bene in mente di cosa, quindi lascerò che sia lui a scegliere, gli ho dato un mondo in cui vivere, un mondo più o meno come quello in cui vivo anch’io, ma non lo stesso, d’altro canto io non sono lui e lui non è me.
Non so se riuscirete a vedere il mondo, quello che ho creato per Michele, sappiate solo che c’è, sarà Michele a decidere se ve ne dovrò parlare oppure no.
Che figura meschina sto facendo! È la mia opera e non so praticamente nulla, a dirla tutta ho lasciato che la Storia, la mia Storia, che poi è anche la sua Storia (di vita, s’intende) se la scrivesse da solo Michele.
Una stupidaggine, un gioco? Direte che se ho creato il mio personaggio con una specifica personalità, allora conoscerò necessariamente la sua Storia e ciò che egli sceglierà di fare.
E invece no. Ho dato a Michele una specifica personalità, ma per quanto possa conoscere questa non posso dire con certezza quali saranno le azioni di Michele.
Davanti ad ognuno di noi si aprono infinite azioni possibili, e se è per questo, non possiamo, ne sappiamo neppure dire con certezza quali decisioni prenderemo noi nel corso della nostra vita (o nell’arco di una sola giornata!!!).
Ma torniamo a Gabriele, dal momento che l’unica cosa che ha fatto Michele è stata creare Gabriele. Per narrare la storia di quello dovrò quindi seguire la storia di questo.
Mi domando se sia possibile che Michele abbia scelto di schiacciare la sua vita dentro l’arte, quasi fosse una coperta da far entrare dentro una valigia troppo stretta, una valigia magari bellissima, ma che sicuramente non ti consente di portare dietro tutto.
Beh, se così fosse la mia storia, la sua storia, si limiterebbe ad essere la storia di Gabriele.
Vedremo.

PREMESSA

Dato il periodo di delirio totale per via della tesi, ho poco tempo da dedicare al blog, così ho deciso di postare un racconto già scritto (In realtà la base già esisteva da anni, però recentemente l'avevo leggermente modificato). L'ho diviso in parti diverse per agevolarne la lettura, e per avere qualcosa da postare in questa fase di nulla creativo dovuta agli impegni. Il racconto è volutamente complesso ( anche nella trama ), se lo dovessi descrivere lo definirei come un metaracconto labirintico, anche perché l'ordine cronologico delle varie parti va ricostruito a posteriori.