martedì 11 marzo 2008

CALEIDOSCOPIO 05- In-Certezze schizofreniche



Gabriele sorrise. Gabriele sorrise di gusto. Era la prima volta che sorrideva e non sapeva perché, non sapeva nulla, non avrebbe saputo neanche definire che cosa fosse un sorriso se glie l’avessero chiesto, semplicemente avrebbe continuato a sorridere.
Gabriele sorrise. Gabriele sorrise per la seconda volta. Sorrise a se stesso, sorrise alla sua Ombra che gli rispose seria con un cenno del capo, quindi sorrise all’idea di se stesso, ma non la sua; quell’idea di Gabriele che ha il suo autore, quell’idea di Gabriele che Michele odia, e l’idea lo salutò con un occhiolino ed una nota di luce.
Gabriele sorrise una terza volta. Gabriele sorrise a Michele e l’autore decise allora di odiare ancora di più l’idea che del suo personaggio aveva.
Michele rispose a Gabriele appoggiando con decisione la penna al tavolo e lasciando il personaggio congelato sul suo terzo sorriso.
Michele, con lo sguardo rivolto verso il basso, con lo sguardo rivolto alla scrivania sotto di lui, con lo sguardo rivolto ai fogli sulla scrivania sotto di lui, uno sguardo in tralice al personaggio che emerge dalle parole scritte nei fogli sulla scrivania sotto di lui... ...Michele pensava.
Pensava a Gabriele, o almeno credeva, in realtà pensava all’idea di Gabriele che aveva, l’idea che un autore ha del suo personaggio, non è mai il personaggio, e se pure gli somiglia non è mai del tutto identica a lui, perché, beh, lasciate che ve lo dica, i personaggi sanno sempre sorprendere i propri autori.
Sappiate che nel momento stesso in cui un personaggio prende vita già si discosta da ciò che era prima (l’idea di se stesso nella mente dell’autore), l’esistenza porta in lui un mutamento, un mutamento continuo che lo accompagnerà d’ istante in istante portandolo distante dal percorso tracciato per lui.
Ma questi sono solo pensieri.
Frammenti di pensieri scheggiati.
Cristalli di pensieri interrotti da un suono fastidioso, ripetitivo, quasi petulante.
Michele è infastidito.
- Un primo squillo lo saluta -
...Il telefono, dimostrazione tangibile che esiste un mondo.
Avrebbe quasi voglia di romperlo lanciandolo contro il muro, nella speranza che l’eliminazione della prova dell’esistenza del mondo elimini anche il mondo stesso.
- Un secondo squillo risuona timoroso - (povero piccolo telefonuccio impaurito)
Inutile farlo, esistono molte altre prove e se dovesse eliminarle tutte dovrebbe distruggere tutto ciò che É nel mondo e che lo costituisce....
...in fondo anche se stesso.
- Terzo squillo con nota d’apprensione mista a rimprovero -
Era lui. Si, Michele ne era certo, non poteva che essere lui, solo quella persona faceva squillare il telefono a quel modo, con tutti gli altri (o almeno con quelli che lo chiamavano) il telefono mandava squilli formali, indifferenti.
- Quarto squillo: un animale ferito a morte che ulula aiuto -
Un pensiero fulmineo: mai fidarsi del lupo, anche se ferito.
Avrebbe voluto farlo aspettare ancora un po’, almeno un altro squillo o due, ma era già al quarto e dopo il quinto lui riattaccava.
- Sospiro -
Alza la cornetta ponendo d’improvviso fine, come con un secco colpo di pistola, alla sofferenza del lupo. D’istinto lo sguardo corre al calendario appeso alla parete di fronte.
Dei fogli che si pretende rappresentino il tempo. Alcune date sottolineate. Un giorno cerchiato: oggi. Un giorno cerchiato a matita, col tratto leggero, quasi invisibile, quasi da potersi autoconvincere di non aver visto la data.
Eppure da quella sospetta invisibilità quel giorno balzava subito agli occhi in mezzo a tutte le altre segnature, sottolineature... rifulgeva della sua immacolatezza appena sfregiata dall’impalpabile cicatrice, quella del tratto a matita.
“ Ciao Michele” “Ciao pa’, stavo per chiamarti per dirti che non posso venire.” “Ah, mi spiace, non sei ancora malato vero?” “No, no pa’ sto bene, è solo una questione di lavoro, sai come sono fatto... se non è tutto a posto...” “Già, ti conosco...”
La conoscenza. Una parola da rigirare nella mente così come un sasso levigato tra le mani...
Lo sguardo cade sui fogli sulla scrivania.


L’Ombra di Gabriele si fa seria e guardando l’Idea di Gabriele comincia a parlare.
Ombra: La conoscenza.
Idea: Il fatto di sapere qualcosa
Ombra: Sapere.
Idea: È il non ignorare.
Ombra: Ignorare
Idea: È ciò che non è conoscenza
Ombra: In ultima analisi non posso definire la conoscenza se non attraverso se stessa... non posso dire di conoscere neppure le parole che pronuncio!


“Però promettimi che la settimana prossima verrai a trovarmi, è già la terza volta che non vieni.” “Si, verrò, puoi starne certo.”


Ombra: Tu dai troppe cose per scontato, tu ti crei un mondo fondandolo su certezze che si costituiscono come tali solo perché convenzionali!
Idea: Può anche darsi, ma tu, a rigore, non puoi che dubitare della tua stessa incertezza, a meno che tu non creda che il tuo stesso dubbio sia certezza, ma se così fosse non dovrebbe avere anch’esso un valore puramente convenzionale? Ad ogni modo, non riuscire ad esprimere un termine non significa non riuscire a comprenderlo.


“Ehi Michele, mi stai ascoltando?” “Eh pa’? Scusa ero sovrappensiero, hai detto qualcosa?”
“No, nulla, non importa”


Ombra: Ma chi ti dice che lo stesso termine, lo stesso “qualcosa”, non sia “compreso” in modo diverso a seconda di ogni soggetto che lo comprende?
Idea: È inevitabile, credo, perciò la comunicazione assume sempre un certo grado d’incertezza, ma è un’incertezza relativa, è una diversità di significati che è direttamente proporzionale alla diversità di ogni essere umano, ed è proprio questa pluralità di significati che mostra la ricchezza del linguaggio.
Ma quello stesso qualcosa può anche essere inteso allo stesso modo da diverse persone, non per il loro essere diverse, ma per il loro essere uguali; tra persone diverse vi è sempre comunque qualcosa di uguale, quantomeno nell’esistenza... quantomeno nell’essere umani.

Detto questo l’Ombra e l’Idea guardarono in direzione di Gabriele che sorrise loro.


“Beh Michele, ti saluto, così ti lascio al tuo lavoro.” “Ciao pa’, alla settimana prossima.”
“Già, ...già.”
La cornetta ricade sul ricevitore.... colpo di ghigliottina.... degna conclusione della nobile comunicazione... quella vuota, quella esteriore, che tiranneggia e troneggia tronfia, sprezzante come un monarca assoluto, in ogni modo d’essere..
Neanche una lacrima per la perdita? No, d’altro canto sono sempre stato dalla parte dei giacobini. Vive la France! Vive la Libertè! Vive monsieur Guillotin!
Anche se in effetti la ghigliottina non l’avrei accettata neppure in senso metaforico... troppo netta, troppo certa delle sue decisioni che, d’altronde, sono irrevocabili, con essa non c’è spazio per il dubbio; professatrice di un’unica verità: la sua; non enunciata, ma imposta... ecco come anche gli oppressi sanno farsi oppressori.
È facile presunzione pretendere d’imporre la verità!
Certo! Certezza. Ineluttabile modalità del credibile... essendo certi non si può che credere... e per quanto non si sia certi di poter sempre credere (credere a tutto), credere di essere certi è già certezza.
...Forse; forse è così... ma che senso avrebbe una certezza costituita in modo tale da essere mera espressione del possibile? (Ammesso che il “credibile” sia “solo” l’infinita gamma delle possibilità!) Probabilmente sbaglio, in fin dei conti non ne sono per nulla certo....

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