mercoledì 16 aprile 2008

Mal di pancia elettorali


Il dado è tratto, le elezioni sono finite e noi italiani ci ritroviamo col governo che ci meritiamo. Nulla da dire, in fondo sono le regole del gioco democratico, e l'Italia è evidentemente spostata a destra. Basta riflettere un istante sui paradossi della storia per capire che anche Camillo Benso conte di Cavour, il padre della destra storica, su certi temi (uno su tutti, la laicità dello stato), era molto più a sinistra del veltroniano partito democratico. Bisogna allora armarsi di pragmatismo e guardare in faccia la realtà, cioè che le elezioni in Italia non si vincono con la testa, ma con la pancia, col portafoglio e con l'immagine. Si può dire che già si sapeva, in fin dei conti, quanto "l'epa croia", per dirla dantescamente, dell'elettore medio si faccia influenzare facilmente dalle lusinghe e dalle favoleggiate promesse di una maggiore ricchezza, così come dagli spauracchi del "diverso"evocati giocando sull'irrazionale e sull'istinto di autoconservazione che s'innesca quando ci si trova di fronte a dei pericoli, siano essi reali o immaginari. Non è affatto una novità se è vero quello che diceva Guicciardini secoli orsono, che gli italiani si dimenticano prima della morte del padre che della perdita del portafoglio.

Ma anche questo mio snobismo di sinistra certo non aiuta a risolvere la situazione; è inutile rinchiudersi nella propria turris eburnea dispensando con spocchia occhiate sprezzanti al mondo che ci circonda come se noi non vivessimo in quello stesso mondo. Allo stesso modo spiegare, come fa Diliberto, il fallimento della sinistra, e mi riferisco nello specifico al clamoroso sfacelo della sinistra arcobaleno, riducendo tutto alla mancanza nel simbolo della falce e del martello, significa mostrare solo di non essere in grado di fare una basilare analisi politica. Che poi adesso il progetto del pdci, sempre secondo Diliberto, debba essere quello di riallacciarsi e di ritornare a quel percoso politico che (parole testuali) si è interrotto nel 1984 con la morte di Berlinguer, mi sembra una follia e diventa la chiara indicazione di una miopia che non consente alla classe dirigente politica di capire alcunchè della società italiana attuale. Le cause della sconfitta, secondo me, sono ben altre. Primo fra tutti, sicuramente, l'appoggio dato al governo uscente senza che a questo impegno corrispondesse la messa in atto di nessuna delle riforme di cui la sinistra doveva essere portavoce. Secondo, anche se strutturalmente più importante, l'impressione che il nuovo soggetto unitario fosse disorganico e impreparato. Certo la sua nascita è stata una risposta obbligata alla strada intrapresa da Veltroni, ma è sempre rimasta l'impressione che si stesse rincorrendo una meta non proprio sentita. Così, anche il programma, mi pare che rispecchiasse il ruolo da "coscienza civica" dei partiti centristi che la sinistra si è ritagliata nell'ultimo decennio (per riferirmi solo a ciò che ho vissuto in prima persona). Pieno di spunti interessanti e (dal mio punto di vista) pienamente condivisibile sul piano etico e su quello dei valori, il programma della sinistra arcobaleno mancava però della necessaria organicità e di pragmatismo economico. Vale a dire che era ottimo sul piano ideale, ma che non proponeva un progetto veramente solido e realizzabile che assicurasse governabilità. Non è questa la critica di un astensionista o di un elettore di chissà quale forza politica liberale... ho votato sinistra arcobaleno e non mi pento di averlo fatto come fanno invece coloro che sono sempre pronti ad abbandonare la barca del perdente alle prime avvisaglie di tempesta. Questo però non significa che non possa criticarne le scelte; con fini costruttivi, è ovvio. In fin dei conti ancora troppo spesso si trovano esponenti della sinistra pronti a citare Marx come fosse il vangelo (più a livello locale che nazionale, è vero), ma io sono ateo in tutti i sensi e non sostituisco un'icona con un'altra divinizzando il pensiero di un uomo che, per quanto acuto, faceva un'analisi che partiva dalla situazione del suo tempo (voglio solo ricordare che il Capitale è stato pubblicato nel 1867!!!!!). Così non ha senso che mi si accusi di essere riformista, di non essere comunista o di chissà che altro; è chiaro che dipende tutto dai termini, se per comunista s'intende colui che segue pedissequamente la "dottrina" economica di Marx e che pensa che nel Capitale ci sia la magica ricetta per la situazione economica di qualunque periodo storico, beh, allora effettivamente non sono comunista dal momento che ritengo che il pensiero di Marx possa sì dare spunti interessanti, ma non risposte concrete alle esigenze del presente.

Qual'è allora la soluzione? beh, qui casca l'asino ed io con esso. Ammetto di non avere ancora le idee abbastanza chiare per poter rispondere a questo, mi sono limitato qui a cercare di capire il senso di quanto è avvenuto, la riflessione critica è solo il primo passo, ma è un punto di partenza imprescindibile per ricostruire qualcosa che veramente abbia un senso. Certo, nell'immediato la cosa migliore da fare penso che sia tentare un maggiore radicamento nel territorio, intervenire localmente in modo deciso ed essere ricettivi nei confronti delle esigenze di un mondo che, per quanto un po' ammuffito e ripetitivo ( come dimostra il Berlusconi III ), non è proprio congelato su posizioni imperiture, perché, come diceva Galileo..... "eppur si muove". (speriamo in meglio)

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