mercoledì 19 dicembre 2007

Il corriero svaligiato 01 (presentazione)


Comincio dunque dal Corriero Svaligiato, interessante opera del 1641 del prolifico (i suoi scritti si contano quasi a dozzine!) padre Marcantonio (già il nome è tutto un programma) al secolo Ferrante Pallavicino.
Il Pallavicino (nato a Piacenza nel 1615) era uno di quei figli cadetti che presero i voti più che per vocazione, per imposizione paterna onde evitare il disperdersi dei beni nelle divisioni ereditarie. Alquanto insofferente per la sua assai poco volontaria condizione di prelato e dotato di una tagliente ironia, il Nostro ingrossa le fila di quei libertini secenteschi figli del "poetar osceno" del Marini, dimenticati, o meglio, cancellati a forza, dalle lezioni ufficiali di letteratura.
La sua formazione avviene, in buona sostanza, a Padova, roccaforte di quell'aristotelismo che, a breve, sarebbe stato spazzato via dalle prorompenti scoperte scientifiche.
Senza entrare troppo nel merito della questione è però interessante sottolineare come dal punto di vista etico, quel pensiero, oggi riletto in senso "anti-moderno", si facesse promotore di una morale naturale, verrebbe quasi da dire "laica", svincolata cioè dai precetti religiosi.
Non è un caso, quindi, che molti libertini si siano rifatti proprio a questa cultura; lo stesso Pallavicino, in genere così avaro di citazioni, nomina esplicitamente Zabarella nel suo scritto.


Venendo all'opera, la forma non è propriamente quella del "romanzo" classicamente inteso, si tratta più di un libello di carattere dialogico, o di un pamphlet epistolare, dove la scarsissima trama ha la sola funzione di fare da cornice e di permettere all'autore di trattare gli argomenti che più lo interessano.
L'idea di base, quella di un dialogo/commento sulle base di alcune lettere rubate ad un "corriero" (di qui il titolo), non è affatto innovativa, ma, come spesso accade in letteratura, più che la novità del tema è interessante l'esecuzione che, in questo caso, è particolarmente brillante (se è per questo anche la divina commedia dantesca, quanto ad argomento, era abbastanza banale e riproponeva il topos consolidato del viaggio oltremondano).
Le lettere trattano di argomenti vari, generalmente scabrosi, ossia, per la cultura dell'epoca, legati al sesso. Le lettere che affrontano più da vicino la tematica omosessuale sono la XVI e la XXXIV (quest'ultima è appunto quella che ho scelto di postare).
La sodomia rimane nell'opera un argomento spinoso e le opinioni del Pallavicino a riguardo non sono affatto esplicite, da un lato sembra giustificarla, mentre dall'altro la indica come "abominio", non che questo debba stupirci nell'Italia della controriforma.
Sul soglio pontificio stava assiso Urbano VIII Barberini ("il barbier che fè la barba a christo" come lo definisce il Nostro); per chi non se lo ricordasse si tratta del papa sotto cui vennero processati (tra gli altri) Galileo e Campanella.
C'è da dire che, nonostante tutte le cautele dell'autore, non dovettero essere sfuggite all'attenzione della corte papale alcune tra le frecciate più ardite ( «Mi stupisco però di chi condanna l'uso della Sodomia in Roma, ne' padri Giesuiti, e universalmente in tutti gli Ecclesiastici, o dotti; mentre pure si sa che questi personaggi sono maggiormente obligati a vantaggiosa perfezzione. Quindi nello studio di tal arte compiscono questo lor debito») tanto che nel 1644 il buon Ferrante venne decollato (i capi d'accusa erano lesa maestà ed apostasia e i suoi scritti fungevano da prove di colpevolezza) davanti al palazzo dei papi ( con immensa magnaminità gli risparmiarono l'onta del rogo).



ILBRANO SCELTO:

La lettera XXXIV, è indirizzata da un precettore al suo buon garzone Tirone (dalla "pieghevole natura" ... ) da cui si è dovuto separare per del tempo.
Tutto si gioca sull'intrigante piano dell'allusione; nulla pare detto esplicitamente, ma le varie immagini delle lezioni impartite sono estremamente evocative e lasciano ben pochi dubbi sul significato che debba essere attribuito loro.
Così vengono ricordate le lezioni di astronomia dove l'allievo è un mappamondo celeste su cui il maestro gira il suo "compasso", per poi riempirlo di "dottrina".
Nè mancano gli accenni alla grammatica, disciplina essenziale; ed il buon maestro mostra di aver ben insegnato al suo allievo l'uso dei "passivi", salvo poi minacciare di colpirlo con "la sferza che si sta indurendo" se al suo ritorno non lo troverà più capace di ricevere gli "insegnamenti" che in lui solitamente instillava.
La lettera termina poi con l'ammonimento a non farsi "istruire" da altri, che se gli capitasse di ricevere una "dottrina sovrabbondante" egli non sarebbe più atto a trattener quella del suo usuale precettore.


Non mi resta che augurarvi buona lettura.

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